Santa Lucia (13 Dicembre)
Una breve leggenduola siciliana dice che G. C. andando ima volta pel mondo incontrò S. Lncia seduta a piangere per cagion d'un bruscolo che entratole negli occhi non la facea più vedere. G. G. le comandò di an- dare nel suo giardino, raccogliere verbena e finocchi da lui piantati, inaffiati e calpestati: che, se era bruscolo andrebbe al bosco ; se pietra, a mare; se sangue, scioglierebbesi :
Santa Lucia Supra un màrmuru chi ciliari eia. Vinni a passari nostra Signuri Gesù Cristu :
— " Chi hai, Santa Lucia, chi chianci ? " — " Chi vogghiu a viri, patri maistusu ! M' ha calata 'na rosca all' occhi ; Nun pozzu vidiri, nè guardari. "
— " Va' a lu mè jardinu, Pigghia birbina e finocchiu. Cu li me' manu li chiantai, Cu la me vucca l' abbivirai, Cu li me' pedi li scarpisai : S' è frasca va a lu voscu,
In Palermo e in quasi tutta Sicilia il dì 13 dicembre non si mangia pane, almeno da quella gente che riconosce una facoltà non comune in questa santa vergine, se- condo la leggenda, accecata da un imperatore romano, alle cui malsane voglie non cedette. Ma in compenso e come per penitenza si mangiano legumi, verdure, pattona ed altre cose simili, sole o messe insieme. I venditori di' flanelle cominciano questa loro merce qualche settimana prima tanto per acquistar dei clienti (parrucciani); poi in quel giorno parano le loro botteghe a festa con pa- nelie ben grosse, pendenti attorno all'uscio o distese so- pra bianche tovaglie. Sono le panelle come una pattona di farina di ceci; ricevono varie forme, e il nome di pi- sci-panelli, perché ab antico hanno la figura di pesci. Si mangia anche caccia, grano immollato e cotto con altri legumi o in acqua semplice o in latte : pasta che si mangiava e si mangia ancora in Egitto, e si chiama Kesc. In Naro non saprebbe lasciarsi passare il giorno senza gustare qualche melarancia o limone o cedro. E qui una digressione sulla cuccia. Fu detto che, come presso gli antichi agli 11 novembre si guastava il mosto appena spremuto, così è veri- simile che gli antichi stessi avessero, appena raccoltolo nell'aia, cotto il frumento e mangiato di esso come di novello cibo; del qual uso sembra tutt'ora perdurai' la memoria in quei luoghi di Sicilia dove la cuccia, cioè il frumento .lesso, viene mangiato nel mese di luglio che e appunto il mese di sua raccolta,., costumanza di varie città orientali dell' isola. 11 sac. Gius. Benincasa da Termini, che forse trae questa notizia da quel mons. Pompeo Sarnelli di Biseglia che scrisse la Posillecheata, dà una tradizione popolare giunta lino a lui, cioè « ch'essendo accaduta nel dì XIII dicembre maravigliosa pioggia di frumento, se ne rinnovi ogni anno la rimembranza nel divisato giorno dedicato per avventura a S. Lucia v. e m. col mangiarlo cotto in acqua 8 . » Ma egli stesso non lascia di notare che non tutta la Sicilia mangia per quel giorno la cuccia, essendovi paesi che la mangiano e dispensano nel giorno de' morti (2 nov.) come Girgenti, Palazzo Adriano, Santa Caterina ecc., altri nel giorno di Sant'Anna (26 luglio), altri per S. Niccolò vescovo (6 ciic.) o pel suo ottavario (e perciò il 13, festa di Santa Lucia) come Mezzoiuso e Palazzo Adriano, o per S. Biagio vescovo (3 febbr.) come Gastronovo, Montalbano ecc. o per la natività di Maria (8 sett.) come Termini o per S. Teodoro (17 febbr.) come i Greci Albanesi in generale, i quali, secondo il cennato scrittore terni itano, avrebbero portato a noi l'uso della cuccia e della distribuzione di essa a' poveri verso la fine del sec. XIV. Ma il grano bollito è un cibo molto naturale e primitivo, e il riportarne la introduzione tra noi al sec. XIV, è un errore non dico storico ma etno- grafico de' più grossolani. E per tornare alla cucina del 13 dicembre: si mangia di tutta questa robaccia e, avvenga quel che vuole avvenire , la penitenza è fatta. Purché non si mangi farina di frumento , si è certi di aver conservati gli occhi; v- Ma, e il frumento non è la materia prima della farina? Sì, ma non è farina: la farina entra nel pane* nella pasta ecc., e pane e pasta non se ne mangia; per quella vi sono le panelle, e per questa il riso: per tutto v'è legumi, castagne lessate, ricotta. Tra' pezzi di pane minuto che si fanno in famiglia non suòle dimenticarsene niai uno in forma d'occhiali, che prende il nome Succhiali di S. Lucia, e che si mangia per divozione o si dà a' poveri 2 Graziosa a vedersi è la festa delle quaglie che sì fa in Siracusa in Galen di Maggio, come dissero i nostri antichi e come dicesi tuttora in qualcuno de' nostri paesi. Nel piano della cattedrale sorge il Monastero di Santa Lucia, e le monacelle più giovani, avvenenti ragazze come quasi tutte le. siracusane, vestite di bianco, per- chè dell'ordine cisterciense, affacciano al vasto loggiato del Monastero, e da li buttano nella immensa folla plau- dente centinaia di quaglie , di colombe , di tortore, di uccelli d'ogni specie: e gli spettatori a disputarseli, ad acchiapparli coi cappelli, coi fazzoletti. Molti uccelli sfuggon volando, gli altri vengono ammaccati o uccisi. L'uso richiama a quello del giorno delia Pentecoste in alcune chiese; e ci fa ricordare del colombo, che, in non so qua! monastero di Mineo, si adorna di nastri, margheritine e di orpelli, e asperso di spirito, durante la messa cantata si lascia volare dopo d'avergli appic- cato il fuoco alle penne ; sì che volando per la chiesa e bruciando, si prende a simbolo dello Spirito Santo. La notte di S. Lucia è la più lunga dell'anno:
Sante Lucia, . La echio longa Buttata chi cci sia,
proverbio che dev'essere molto antico, perchè valea solo prima del calendario Gregoriano, in cui S. Lucia cadeva il 25 dicembre. In Catania si dice proverbialmente Timpesta di S. Lucia una tempesta avvenuta un giorno diS, Lucia della prima metà del settecento, la quale recò molti danni.
Giuseppe Pitre, Spettacoli e Feste.